Covid-19 e sistemi di convivenza. Ricontrattare le regole del gioco per sostenere il cambiamento

di Veronica Schiavello

Tamgram, rompicapo cinese

Nel momento in cui mi trovo a scrivere, nella seconda fase dell’emergenza dovuta a Covid – 19, ho di recente concluso il tirocinio post-lauream in un’organizzazione del terzo settore, con cui ho deciso di continuare a mantenere rapporti come collaboratrice. Il gruppo di lavoro che tiene insieme questi rapporti si fonda sull’obiettivo di pensare le questioni che, come psicologi in formazione, riscontriamo nei vari contesti a cui partecipiamo da diverse funzioni, attraverso la condivisione di un metodo, quello psicologico – clinico: è in questo contesto che il presente contributo è stato pensato e prodotto.

La prima parola che mi viene in mente pensando a tutto ciò che mi circonda in questo momento è “scardinati”. Il verbo latino da cui deriva la parola significa “oscillare, agitare, balzare”: un movimento che fa venire i capogiri e il voltastomaco, senza direzione né punti di riferimento a cui andare a parare. Ciò che sembra essere saltato sono tutti quei limiti con cui ci muovevamo nel mondo, che scandivano l’andare routinario delle nostre giornate: impegni, hobby, passioni, convenzioni sociali, abitudini, riti, rapporti. Organizzatori di vita che per anni hanno funzionato, a modo loro, ma che con il mondo rivoluzionato ci siamo ritrovati a guardare in faccia ed essere costretti a capire che poterci fare, se fossero ancora utili, se valesse la pena cambiare. Allo stesso tempo ci siamo trovati a fare i conti con cambiamenti radicali dei contesti che viviamo, tentando di capirne qualcosa tra stupore, terrore e un briciolo di speranza. Ad esempio abbiamo ri-scoperto risorse. Pensiamo al digitale: tra videochiamate e utilizzo di piattaforme online, tanto i contesti di formazione e lavoro quanto le relazioni familiari e di amicizia, si stanno approcciando alle potenzialità di questo mondo.

Nel mondo del lavoro vediamo emergere così nuovi setting, non delimitati da luoghi fisici ma dalla ricondivisione di criteri con cui perseguire obiettivi. È il caso, questo, del laboratorio di teatro di un’organizzazione del terzo settore che si occupa di disabilità. Dopo l’iniziale sgomento per la chiusura improvvisa delle attività, la maestra di teatro ha proposto alla presidente dell’associazione e alla psicologa che si occupa del monitoraggio dei vari progetti e dell’accoglienza degli utenti di riorganizzare il laboratorio tramite Skype. La psicologa si è perciò occupata di creare il gruppo Skype con i ragazzi – tutti con disabilità lieve – la maestra di teatro e la presidente. I ragazzi e le famiglie si sono mostrati entusiasti e interessati a partecipare alla riorganizzazione delle attività. Non solo il teatro ha ripreso a funzionare in maniera vivace e divertente per tutti, ma si è verificato anche un fatto inaspettato: una delle ragazze del corso, con tratti autistici che hanno da sempre compromesso la sua interazione all’interno del gruppo, ha smesso di isolarsi disegnando e ha cominciato a interagire sulla chat del gruppo durante le videochiamate, inviando immagini affettuose e scrivendo vignette di accompagnamento. Mentre il gruppo di teatro proseguiva la lezione, la psicologa si è accorta del tentativo di comunicazione della ragazza e ha tentato di agganciarvisi per capire cosa stesse succedendo. La ragazza allora ha esplicitato quanto fosse contenta di questo scambio. Alla psicologa, che nel mentre ascoltava la lezione di teatro, è venuto in mente di proporle qualcosa che rimettesse dentro la lezione questo scambio separato: recitare insieme delle poesie come stavano facendo gli altri ragazzi, una battuta a testa. La ragazza si è dimostrata entusiasta. L’insegnante di teatro, cogliendo l’occasione, ha proposto alle due delle poesie che parlassero di quell’affetto dimostrato e di quanto fosse stato prezioso averlo ri-condiviso con il gruppo, all’interno della lezione. Ci sembra, in questo caso, che il lavoro a distanza abbia permesso di riconoscere la falsità del contatto fisico considerato come fatto naturale e imprescindibile dell’intervento con alcune disabilità, della vicinanza e dello scambio emotivo. Non solo, la stessa funzione della psicologa nel laboratorio è stata ridefinita e costruita sulla base duna domanda piuttosto che considerata come “data” e motivata dalla diagnosi più che da obiettivi di lavoro.

Pensiamo ora ai rapporti in famiglia. N. è una ragazza che, a inizio quarantena, per una serie di contingenze, viene ospitata nella casa in cui il fidanzato convive con sua madre. Sin da subito i rapporti figlio/madre/nuova/suocera/fidanzati hanno funzionato secondo i più canonici cliché, in cui l’ospitalità veniva declinata scontatamente entro dimensioni di gratitudine, obbedienza, obbligatorietà, controllo, dipendenza. La litigiosità trovata espressione soprattutto al momento dei pasti, fino a quando N. ha trovato utile “mettere sul piatto”, a parole, il conflitto taciuto agito fino a quel momento. Al termine della discussione S. – la suocera – ha abbracciato N. ed esclamato: “Allora se mi dà fastidio qualcosa posso dirtelo!”. Anche qui, anche in casa, allora, sembra utile ricontrattare obiettivi e funzioni, riscoprendo e ricostruendo ruoli in maniera inedita, al netto di confini nuovi.

Sono tempi, questi, in cui spazio e tempo sembrano scrivere curve in grafici sconosciuti, che generano ansia, paura, destabilizzazione, frammentazione, rabbia; ma anche creatività, rivalutazione, immaginazione, costruzione di bussole e cambi di rotta sapienti. L’incertezza che viviamo, se da un lato tende a farci cadere in un’angoscia immobilizzante, dall’altro ci offre un’occasione unica: quella di riscoprire il desiderio di abitare i rapporti in cui siamo immersi, rendendone possibile la sopravvivenza attraverso il recupero della loro capacità trasformativa, tenendo a mente gli obiettivi che sostanziano i contesti come criteri per orientarsi nel processo di cambiamento.

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